Il giorno di Pasqua, prima del pranzo coi parenti, decido di andare in Faloria a fare quattro curve sulla bella polvere appena caduta. Sembrerebbe che abbia sbagliato il titolo di questo articolo, ma invece sono qui sul divano di casa, con del ghiaccio sul ginocchio e un po’ di tempo per scrivere, perché quel giorno si è concluso al pronto soccorso di Cortina, per colpa di un crociato che ha deciso di non assecondare la mia irruenza in un’inversione un po’ troppo esagerata. A fine aprile ho fatto l’intervento chirurgico per ricostruire il legamento e ora, che spero il peggio sia passato, posso dedicarmi a raccontare questa bella avventura sulla più iconografica via della parete sud della Marmolada.
Era metà ottobre, finalmente io e Dario Segato siamo liberi, così la mattina di buon ora passo a prenderlo e andiamo a Malga Ciapela. La strada che arriva all’Agriturismo è ancora chiusa con l’ordinanza comunale – ma si può?!? – così ci aspetta una passeggiata più lunga di 2 km per arrivare al rifugio Falier, dove hanno già chiuso l’acqua – per cui per riempire le bottiglie ci tocca arrivare fino al torrente. Nonostante gli inghippi, il morale resta alto, la giornata è splendida e incredibilmente calda per la stagione.
Per arrivare all’attacco della via, conviene seguire una serie di cengie sulla destra, evitando così il primo tiro friabile . La prima parte della via è un po’ deludente, segue i punti deboli della parete, con difficoltà classiche, dove bisogna solo fare attenzione alla linea giusta.

Ma non bisogna farsi ingannare, usciti da un grande diedro grigio si inizia a scalare sulle meravigliose placche, che hanno reso celebre la Marmolada. I primi tiri in placca, sono relativamente facili fino ad arrivare ad una fessura bianca più ostica, molto complicata da salire in libera, ma ben protetta con numerosi chiodi. Questa lunghezza tocca a me, dò un’occhiata veloce alla relazione e mi convinco che mi aspetti un 6a. Parto ma dopo qualche metro inizio a far fatica, penso di non essere più capace di arrampicare, sto quasi per cadere e mi appendo ad un chiodo. Arrivo in sosta demoralizzato, e scopro che in realtà era un 7a, mi rinfranco un po’, ero partito sottovalutando l’impegno che dovevo mettere in questa lunghezza, allora capisco che oltre non saper scalare non sono più capace neanche di leggere 😉
Segue un altro tiro in diagonale a sinistra e si è sotto il mitico diedro svaso che porta alla nicchia pesce.

Tocca a me, parto deciso anche se un po’ preoccupato su cosa mi aspetti. La prima parte del tiro è facile e divertente su grossi buchi, dove è presente qualche chiodo, poi la scalata si fa più tecnica, sulla sinistra c’è un tricam rosa incastrato che è l’ultima protezione prima dei passaggi più duri – un paio di metri più in basso rispetto al famoso tricam incastrato, che ora non si può più utilizzare dato che la fettuccia è saltata-. La difficoltà del tiro è concentrata in pochi metri dove gli appigli sono decisamente più piccoli, ma alzando un po’ i piedi si raggiunge una buona presa, si passa una clessidra, e si attraversa in diagonale ascendente verso destra, con minore difficoltà, fino ad una sosta, con numerose protezioni nessuna delle quali veramente buona. Conviene, infatti, proseguire fino alla nicchia del pesce, senza rilassarsi troppo perché il tiro che porta in nicchia non è banale e non va sottovalutato. L’esposizione e la distanza delle protezioni non è mai estrema, ma quando arrivo in nicchia sono comunque più rilassato e felice anche perché riesco a salire il tiro in libera.
Recupero Dario, e nella nicchia a forma di pesce ci concediamo una bella pausa al sole di ottobre – me l’aspettavo più grande e comoda ma per un eventuale bivacco può andare più che bene-.

La giornata è veramente stupenda, nessuna nuvola in cielo, ma è pur sempre ottobre e le giornate sono troppo brevi, ormai sono quasi le quattro del pomeriggio e abbiamo solo il tempo per fare un ultimo tiro, dato che non vogliamo scendere al buio. Dalla nicchia si esce a destra per poi attraversare sopra di essa verso sinistra e riprendere a salire, l’arrampicata è entusiasmante su roccia stellare, il tiro è tecnico, Dario lo legge bene e in breve mi recupera.

La sosta, a cui si perviene, è scomoda, ma grazie ad un raggio di sole propizio, Dario trova una clessidra invisibile, fino a quel momento, che rende la sosta super sicura. Da qui iniziamo la discesa in doppia lungo la via; le soste sono tutte attrezzate per una comoda discesa in doppia, ma trovarle al buio soprattutto nei tiri in placca può rivelarsi complicato.
Un sogno quasi realizzato, ma forse sono più contento così, perché non vedo l’ora di tornare per completarlo.
Come logistica abbiamo deciso di salire con un sacco da recupero, che permette di scalare al secondo più comodamente. Invece come materiale è sufficiente una serie di friend dallo 0.1 al 3 BD (meglio ancora totemcam) e una scelta di tricam.